N., serba, 42 anni.

Ha scontato una pena di tre anni e sei mesi. La sua borsa preferita è l’Angelo Custodia.

“Quando riesco a guardarmi in uno specchio (perché qua in prigione, per motivi di sicurezza, non ce ne sono tanti) mi vedo invecchiata.

A volte mi spavento, vedo i miei occhi e mi rendo conto di quanto sono cambiata in poco tempo. Poi parlo con me stessa e cerco di capire perché ho sbagliato. In dieci mesi di carcere non sono ancora riuscita a spiegarmelo.

Per tutta la vita ho avuto la possibilità di fare cose che non vanno bene ma non ne ho mai fatte. Ho sempre lavorato e ho insegnato ai miei figli che è importante essere onesti. Adesso, invece, sono in prigione. Ho fatto un errore che avrei potuto e dovuto evitare.

Se fossi stata una ragazza inesperta forse sarebbe più comprensibile, ma queste cose non si fanno quando hai 41 anni… Penso e ripenso alle mie scelte è un’ossessione. E penso ai miei figli. Non voglio fare loro del male, io merito di essere punita ma loro no.

Invece stanno soffrendo a causa mia. Ecco cosa mi passa per la testa tutti i giorni. Se fossi rimasta sempre in cella con questi pensieri, credo che sarei impazzita. 

Per fortuna tre mesi fa mi hanno accettata nel laboratorio di sartoria, un sollievo per la mia mente. 

Adesso continuo il mio esame di coscienza, ma in maniera più costruttiva. E non mi sento solo una persona che ha sbagliato, inutile e da punire.

So che le borse che cuciamo con i tessuti di scarto verranno utilizzate, stiamo facendo qualcosa che serve e stiamo ridando vita a qualcosa che avrebbero buttato via. E imparando a lavorare, impariamo anche tante altre cose.

Nel resto del carcere c’è tanta ipocrisia e spesso si parla per sfogarsi o per dire una cattiveria, in laboratorio invece siamo concentrate e quando qualcuna parla lo fa perché c’è bisogno di parlare.

Siamo le stesse persone, ma con uno scopo da raggiungere e la possibilità di usare la nostra creatività, non siamo più distruttive e impariamo a non esserlo anche fuori dal laboratorio. E impariamo molto altro. Per esempio che non si può lavorare sole, dobbiamo tutte darci una mano. Perché il laboratorio funziona come un orologio: se una parte non va bene si ferma tutto.

In fondo, il nostro piccolo mondo dentro il carcere ci fa capire anche tante cose della nostra società.”

Intervista realizzata da Enzo Del Verme