M., italiana, 63 anni.

Ha scontato sei anni nella sezione di massima sicurezza, quella destinata principalmente alle detenute mafiose. Era abilissima su tutte le macchine, ma adorava la macchina lineare 3 aghi. La sua borsa preferita è la Shopper Bag

“Quando entri in carcere sembra che sia tutto finito. Invece è l’inizio di tutto.

Qua puoi imparare a perdere e anche a capire i tuoi errori. Ma non tutti riescono a cogliere l’opportunità. C’è gente che entra ed esce dal carcere e durante la reclusione impara solo a commettere altri crimini.

Io ho avuto la fortuna di lavorare nel laboratorio di sartoria appena arrivata, è stato un aiuto grandissimo. Mi sentivo molto male perché pensavo sempre agli anni che avrei passato lontana dai miei figli, dai nipoti e dalla libertà.

Ho cominciato a prendere il Tavor per sopportare la reclusione e a poco a poco, grazie al lavoro mi sono ripresa. Ho scoperto la gioia di realizzare delle cose belle usando gli strumenti a disposizione e la mia creatività.

In laboratorio ci si sente più liberi perché l’attenzione è occupata da qualcosa di costruttivo. 

E ho avuto anche tanto tempo per pensare alla mia vita e alle mie scelte.

Ho smesso di prendere il Tavor, lo psichiatra mi ha detto che è stato merito del lavoro.

Oggi mi sento rifiorita, persino i miei nipoti mi hanno detto che sono più gentile. È vero: qui ho imparato a socializzare e a sostenere gli altri.

Forse dovevo proprio venire in carcere per capire cos’è la vita e l’importanza di essere altruisti. Ricevere un conforto fa senz’altro piacere, ma anche saperlo dare è bello: si vive meglio tutti.

Fra poco uscirò ed ho paura che fuori sarà difficile. Troverò gente che non capirà mai che cos’è il carcere, che mi guarderà con sospetto, che non vorrà parlarmi.

Pazienza. Il carcere mi ha tolto qualcosa e mi ha dato qualcos’altro. Ci sono esperienze che puoi capire solo se le fai.”

Intervista realizzata da Enzo Del Verme.