15 Gennaio, 2019

Marianne ha 55 anni.

Sconta tredici anni di reclusione. La intervistiamo mentre ritaglia sfridi di tessuto giallo a pois che serviranno per la creazione di Frida, la vulvo eco-didattica. 

“Sono nata in una famiglia dove il lavoro era di fondamentale importanza. Ci svegliavamo tutte le mattine alle 5:30 e lavoravamo per quindici ore al giorno. Dovevamo tirare avanti e arrivare a fine mese era davvero difficile.” Marianne inizia così a raccontarci la sua storia.

All’età di diciassette anni si ritrova da sola a crescere una figlia e vivere con un piccolo stipendio, ma arrivare a fine mese, iniziava ad essere molto difficile.

“Così si fanno delle scelte che sai benissimo dove ti porteranno. All’inizio hai molta paura,  poi quello che fai diventa abitudine, acquisti sicurezza ed è questo che ti frega”

“Cosa vuol dire per te avere avuto la possibilità di lavorare in carcere?” –Le chiediamo-

“I primi anni in carcere sono stati difficilissimi. In cella il tempo non passa mai. Questo lavoro mi permette di “sopravvivere”, di dare alla mia famiglia un aiuto economico; è il mio modo di essere presente. Questo per me è prioritario e grazie al progetto Made In Carcere posso farlo.

Mai nella mia vita avrei pensato di ritrovarmi a lavorare in un laboratorio sartoriale, perlopiù costruito in carcere. Ho imparato a tagliare, a cucire, a imbastire, a scegliere e abbinare le tonalità di colore per costruire una borsa o una sciarpa o un accessorio per la casa…

La vita appare molto più viva vissuta tra forbici, tessuti e i rumori delle macchine da cucire.”